Tra spettatore e superficie (Palazzo Tozzoni, Imola), 2006
Video digitale in Bianco e nero, muto. Durata 60′
Dal Catalogo della mostra: No-where / now-here, Curated by Saretto cincinelli e Alessandro Sarri, Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno, 2010
No-where / now-here
Ad introdurre No-where / now-here, in una posizione strategicamente liminare, è il video Tra spettatore e superficie (2008) di Giovanni Oberti un’opera realizzata a partire non da riprese inedite ma da un montaggio di registrazioni effettuate delle telecamere di sorveglianza di un noto palazzo nobiliare attualmente adibito a museo: le riprese in b/n, ovviamente statiche e in plongée mostrano le sale del palazzo prima dell’ingresso del pubblico, vuote ma turbate, a più riprese, dalla presenza, di un’addetta alle pulizie. Concentrandosi sull’idea di luogo Oberti realizza interventi minimi e silenziosi che tendono a mimetizzarsi nell’ambiente sin quasi alla sparizione. Il suo video, per così dire “ready-made“, abdica infatti alle caratteristiche precipue dell’opera per nutrirsi di realtà, in un gesto che mira a portare in primo piano ciò che nel reale tende a scivolare fuori scena, ciò che è ob-sceno nel senso etimologico del termine. A caratterizzare l’operazione dell’artista, almeno in questo caso, non è la qualità dell’immagine e neanche il montaggio che mima in tutto e per tutto l’aggiungersi per sommatoria della ripresa di una camera di sorveglianza ma lo spostamento d’accento dall’ipotetica utilizzabilità delle riprese alla loro visibilità; separando le immagini dal loro fine il video mostra la vivisezione dell’ambiente in cui, si suppone, lo spettatore debba muoversi. In questo caso, però, a causa di un’evidente de-territorializzazione e ri-territorializzazione, lo spazio non è più quello della mostra ma tutt’altro. Ci troviamo così di fronte ad una scelta che spiazza e sconcerta: deviata dal contesto dell’utile, l’attività di perlustrazione dell’ambiente appare la mera registrazione di un accaduto (un evento precedente) una ‘ripresa’ che, tramite il cozzo interruttivo del rimando, conduce l’opera verso il suo dis-operamento.
Saretto Cincinelli, 2010
Permanent vacation
L’essenza del luogo consiste nel fatto che esso recide,
o piuttosto nel fatto che esso stesso è reciso e esposto,
aperto — in qualche modo sulla sua recisione?
Jean-Luc Nancy
Giovanni Oberti lavora da sempre sul concetto eminentemente metonimico di dislocazione, sia essa installativi che oggettuale. Il lavoro emerge infatti come presupposto di soglie ulteriori nella quali la kìnesis, contrariamente da quella che qui ci riguarda, ha a che fare con intenzioni e fini teleologici da riguadagnare. L’oscillazione, in Oberti, è invece istantanea; i suoi poli sono immediatamente e aporisticamente compresenti uno nell’altro. Le sue sono quasi delle performances che rendono performativo ciò che non riuscirà mai ad innescarsi, ingenerando una sorta d’incaglio transitivo che giace riposto ed esposto in ciò che, proprio a causa della propria presenza, non riuscirà mai ad essere presente.
Il lavoro si scova, si tende tranelli attraverso microfanie di mosse intrusive che consistono primariamente e paradossalmente nel tentativo di riempire la presenza della presenza che non potrà mai essere manifestata se non attraverso la presenza che non sarà mai che la sua presenza. Sembra che questo lavoro consista proprio nel ritrovare l’innesco del clinamen impossibile che nessuna opera sarà mai grado diassumere su di sé, prefigurandone il già e il non più.
Con questo non ci riferiamo ad una semplice pratica della traccia ma ad qualcosa che la traccia s’incarica proprio di non tracciare attraverso di sé; l’atto della propria inattuabilità che in nessun modo può essere equivocata con una sorta di potenzialità che possa essere posta in atto. C’è una sorta di metamorfosi dello stallo, una modificazione di ciò che non potrà mai cambiare, una sorta di rimpozzamento dell’al di qua che induce nello spazio fruitivo dello spettatore uno stordimento evenemenziale che non riesce mai a collimare con se stesso. Ci si trova così ad assistere al presente a ciò che è definitivamente passato pur non provenendo da nessun passato, un bradisismo spaziotemporale che riduce quasi a zero la possibilità di riscontro fenomenico, proiettandosi così in un’esposizione a scoppio anticipato di cui nessuno conosce il presupposto né tantomeno le cause e gli effetti. Nel video qui presentato si assiste alla deambulazione di una donna delle pulizie, spiata dalle telecamere di sorveglianza di Palazzo Tozzoni ad Imola. E’ proprio il caso di dire che qui si assiste ad una sorta di cerimoniale di transustanziazione del ritardo, inteso qui come la strutturale posterità nella quale la ripresa cinefotografica esplicita la procedura della scomparsa di ciò che essa sospende e che salva. Questo video si potrebbe definire, con una qualche approssimazione, una specie di predella, o più esattamente, di piano sequenza della rimozione siderata nel proprio atto stolido di presenza; qualcosa è esistito prima che si siglasse, qualcosa d’atopico che marca dunque il dovunque e in alcun luogo dell’ubique, la dimensione propria di un hic et nunc dell’immagine nella quale “non è data una localizzazione del ‘senza dove, essendo da sempre prossima all’escrizione del fenomeno originario che la manifesta nonostante e attraverso sé”, scrive Benjamin. La rimozione ‘a luogo’, il punctum puncti come “illuminazione profana”, ancora Benjamin, di un’epitome del ritardo che non attiene più al ritardo in quanto ciò che qui ritarda è proprio ciò che è sempre stato qui, da per sempre. Tutto ciò si snoda attraverso la soggettiva impossibile dello station Brama delle telecamere di sorveglianza che non presuppongono appunto alcun tipo di ingaggio e di reversibilità. La psicanalista argentina Ha dée Feimberg parla di ” telescopage delle generazioni”, esperienze vissute da membri della famiglia’ dei paziente delle quali il paziente non conosce ‘la storia’ o addirittura l’esistenza e che malgrado ciò sono presenti intrusivamente come vizi patogeni all’interno del suo comportamento. Seppur in un diverso contesto, a me pare che il concetto di telescopage sia particolarmente calzante nel caso che attiene a questo video. Il telescopage innestato dall’artista permette quasi di vedere proprio ciò che ci autorizza di vederci mentre non ci vediamo, andando incontro alla cecità che ci riguarda, violando in tal modo la barriera di tutto ciò che avrebbe dovuto restare secretato, occultato, e che è invece emerso. Tra spettatore e superficie delinea il fatto che la visione preesiste alla visione, anche se noi possiamo renderci conto della sua presenza solamente nel momento in cui la percepiamo. Il tempo, secondo Bergson,” è ciò che impedisce che tutto sia dato in un colpo solo”.
La donna delle pulizie, sfiorando gli oggetti del palazzo, sembra infatti tentare di reinscrivere e quindi di suturare la presenza per sempre assente attraverso di sé attraverso I’assenza per sempre presente attraverso la propria negazione, in altre parole, l’aporia costitutivamente insolubile che consiste nell’avvistare le cose solo nell’istante in cui siamo noi ad avvistarle. Bloch scriveva che ” non è tanto sicuro ciò che i mobili hanno fatto quando la casa era vuota”. Occorre, continua il filosofo tedesco, ” dare fiducia al tavolo, credere che esso sia semplicemente tavolo, che si accontenti di essere necessariamente tavolo —solo a causa del lato visibile che offre allo sguardo, non appena lo guardiamo”.
Alessandro Sarri, 2010